martedì 15 dicembre 2015

"Le conseguenze dell'Occidente"


Premessa. 

"Sono Simone Faresin, 35 anni, italiano, 
uno "zingaro felice" che ha passato gli ultimi meravigliosi 4 anni a Lisbona, 
in Portogallo. Ho imparato il portoghese e sposando una mozambicana 
eccomi sbarcato a Maputo. 
Nel mio bagaglio: le stesse idee che mi animavano prima 
e che mi fanno sopravvivere anche adesso. 

La voglia di scrivere e in generale la mia creatività 
si manifesta di sorpresa come un temporale estivo, 
mi apre gli occhi come se fosse sempre la prima volta, 
mi dice cosa fare, cosa scrivere e cosa desiderare davvero. 
Qualche ora dopo svanisce, si scioglie tutto, 
diluendosi tra i miei fabbisogni organici 
e tra i ritmi quotidiani, lasciandomi giusto 
sulla nuova rotta da seguire e "Avanti tutta!" 
senza esitare.  

Sono apolitico, aconfessionale e non ho nessuna pretesa 
a parte scrivere senza diventare la parte lesa 
e raccontare il mio punto di vista  
dopo questi miei primi giorni nella mia nuova città: Maputo, 
Capitale del Mozambico, Africa. 

Inevitabilmente, parlando di vita quotidiana, 
si toccano tematiche attuali, sociali e politiche. 
Con i miei commenti non intendo offendere nessuno, 
offro solo una visione sincera e trasparente 
di quello che ci si trova davanti 
sbarcando in un porto d'Africa." 




"Le conseguenze dell'Occidente" 

Appunti per una Rivoluzione imminente. 






Post/Racconto unico. 
Stile: "Cose dell'altro Tropico". 
Memento: il Mondo è sempre lo stesso, 
ne abbiamo uno  
e sembra un acquario, 
gira e rigira tutto torna, 
come quello che butti in mare. 



"Per esistere un «Occidente» deve esistere un «Oriente»: l’uno è il consueto, 
la libertà e la Civiltà, l’altro l’ignoto, il dispotismo e la Barbarie. «Occidente» ed «Oriente» 
hanno bisogno l’uno dell’altro, come due gemelli siamesi." 

Tratto da un articolo di Enrico Galoppini, trovato sul sito ildiscrimine.com



Dopo 10 ore di volo sono uno straccio, 
di quelli che trovi nelle cucine delle case affittate, 
stì stracci o li butti via o li metti subito nel cesto delle cose da lavare. 
Lavarsi, già, grande ambizione, ma adesso attendo l'apertura delle porte 
e dopo 20 anni il sogno diventa realtà, metto piede in Africa. 

Botta di caldo, me l'aspettavo, saluto l'equipaggio 
e lascio la caravella portoghese che m'ha portato fino a qui. 
Impressionante aver volato sopra tutta l'Africa, 
aver visto il cielo notturno brillare e le costellazioni al contrario. 
Ho passato l'equatore! Ho cambiato tropico! 
Bene, ma adesso c'é la rottura di palle dei bagagli, 
150 kg divisi tra 4 valigie, 3 zaini, 2 sacchetti con bottiglie di vino portoghese 
e 1 una culla pieghevole per bebè. 
L'ennesima mudança... 
Per fortuna Sirio non piange, mia moglie invece è già in sbattimento. 

Spio da un finestrino, avido di dettagli: 
la pista è grigia come da noi, vicino ad una recinzione c'é un soldato di spalle 
che osserva l'orizzonte, ed ecco il mio primo AK-47 dal vivo. 
L'orizzonte è una vasta distesa verde, qualche palma qua e là. 
Il personale di terra è composto da ragazze mozambicane, 
la sala in cui arriviamo è grande e comprende la zona di controllo 
dei passaporti e alle spalle la zona di recupero bagagli. 
C'é un composto silenzio, i tizi del controllo documenti sembrano già scocciati 
e sono solo le sette del mattino. 
Lascio le mie impronte ed entro ufficialmente in Mozambico. 

L'attesa per i bagagli è estenuante, un signore mi si avvicina e propone di aiutarmi 
col carrello; non ha un badge o altri segni che identifichino che faccia parte 
del personale di terra, ma mi sembra un signore tranquillo, siamo ancora dentro 
all'aeroporto e non credo lascino passare borseggiatori qui, ma mia moglie è già 
in stato ansioso e appena mi si avvicina mi dice di stare attento. 
Osservo il signore, sulla quarantina e penso che non può essere un estraneo, 
invece lo è. Insieme ad altri suoi coetanei è lì per guadagnarsi qualche mancia 
aiutando a caricare sui carrelli i bagagli. Alla faccia delle misure di sicurezza! 
Beh, dimostrazione che questo è un paese tranquillo. 
Per via del bebè eravamo stati tra i primi ad imbarcarci, 
quindi i nostri bagagli arrivano per ultimi. Una volta caricati su tre carrelli 
devo poi scaricarli di nuovo per farli passare sul nastro trasportatore 
al controllo ai raggi X. Poi devo ricaricare il tutto sui carrelli e anche rapidamente, 
sto bloccando tutta la fila. Sono già spompo e affamato. 
In un angolo viziato del mio cervello si accende una luce con la scritta "CAFFÈ" 
ma sono consapevole che questo desiderio non potrà essere avverato, anzi è meglio 
che non ci penso proprio, i buoni caffè li ho lasciati in Europa, non mi illudo 
di poter assecondare questo mio vizio. 
Passate le porte degli Arrivi ci ritroviamo nella parte principale dell'aeroporto, fatto a L e tutto a vetrate che danno sui parcheggi e sulle corsie invase dai taxi, i taxi sono gialli con una striscia verde. Trovandoci già alle porte di uscita sorge la questione 
"e adesso come ce ne andiamo fino a casa?" e "casa" è l'appartamento di mia cognata, 
in un punto imprecisato di una Maputo che ancora non vedo. 
Vedo palme carezzate dal vento, vedo jeepponi lucidi, vedo parenti e amici altrui 
abbracciarsi e caricarsi coi bagagli appena sdoganati, vedo una gigantesca pubblicità della Vodacom business dove sono tutti fashion ed eleganti con sorrisi brillanti e abbaglianti. 
Andiamo avanti. L'amico che mia moglie aspettava non da segni di vita, telefono ancora spento. Ci sediamo ad una panchina e ci trinceriamo tra i tre carrelli carichi di valige. 
Sirio esige la sua poppata, momento ideale per riprendere fiato. 
Guardo triste verso il bar dell'aeroporto, so già che non c'é nessun cornetto caldo 
e nessun buon caffè ad aspettarmi, ci metto una pietra sopra, anzi, 
ci metto sopra una mia valigia che pesa di più. 
Intorno a noi c'é una frotta di ragazzi pronti ad aiutare coi carrelli ma faccio capire 
che non ne abbiamo bisogno. 
Apprendo da un portoghese di passaggio la giusta risposta da dare: 
"Olha, vai a trabalhar de borla" per spegnere qualsiasi speranza che possa scucire 
qualche spicciolo. Uno ci prova fino all'ultimo con me, cerco di dissuaderlo dall'aiutarmi 
a caricare le valige sul furgoncino-taxi (in una macchina non ci sarebbe entrato tutto) 
ma non c'é verso, alla fine mi chiede 5€ e io gli dico "Scherzi?" e da pezzente che sono 
gli rifilo le uniche monete mozambicane che ho in tasca, 15 meticais, il nulla. 
(1€ vale 58M "meticais". Metical al singolare, meticais al plurale. 
Valore di scambio variabile in base agli andamenti del mercato.) 

Trattiamo con l'autista il prezzo della corsa, 
da 200M scendiamo a 150M, ok, affare fatto. Mi siedo davanti con lui 
e mi godo il tragitto. L'aeroporto è piccolo, su due piani, 
a sinistra la parte voli nazionali e a destra gli internazionali. Fine. 
È più grande il parcheggio che l'aeroporto. Jeep giganti ovunque, 
roba da standard americani e se non sono jeep sono suv, altrimenti sono 
furgoncini ammaccati e mezzi arrugginiti che tossiscono nuvolette nere, 
sono le otto del mattino ma l'aria è già pesante e la strada trafficata. 

Il traffico è animato, prevale il mezzo più grande, la guida più spericolata 
e l'iniziativa è tutto, ci si sfiora in continuazione, negli incroci principali 
si procede a sussulti e alle rotonde non esiste il concetto di precedenza. 
Esiste il "io passo e tu aspetti" e bom, ma nessuno urla, nessuno gesticola, 
nessuno offende madri e parenti altrui e pochi perdono tempo a comunicare 
col clacson. Mi diverto, mi ricorda Gerusalemme e lo stile di guida palestinese. 
Dalla zona dell'aeroporto si passa subito a lato di un quartiere povero, 
tipo favela, la visione è interessante ma inizio a pensare 
"Ma che cazzo ci faccio qui?" alla faccia dei quartieri spagnoli a Napoli; 
qui sembra abbiano smesso di bombardare ieri, strutture in cemento, tetti in lamiera 
e le porte sono opzionali, semplici tende separano il pubblico dal privato. 
Tra le basse costruzioni si diramano una serie infinita di vicoli che vanno stringendosi 
verso l'interno, un budello stretto impossibile da assaltare. 

Riconosco lo stesso stile dei quartieri poveri che ho visto nei video dei rapper angolani. 

Tra la strada e il bairro scorre una canale, una fogna stagnante a cielo aperto; 
qualcuno ci piscia e qualche donna ci svuota l'acqua dei catini. 
I catini di plastica sono uno degli oggetti più comuni, 
più resistenti delle ceste impagliate, 
le donne li caricano sulla testa trasportando banane, manghi, ananas, 
altre cose che non riesco ad identificare, mele, bottigliette d'acqua 
e altra frutta mai vista. 
C'è un gran fermento, sono in pochi a starsene seduti osservando il traffico. 
In mezzo a tanta miseria intravedo già qualche rubino e diamante, ragazze bellissime, 
forti, sode, che ramazzano, organizzano, fanno, disfano, trasportano ceste o taniche d'acqua, visi stupendi, curve scolpite nel marmo, 
lo sguardo inciampa spesso nelle scollature, meloni neri, sodi e lucidi. 
Torno a concentrarmi sull'insieme, affascinato dai colori, 
colpito dall'ambiente fatiscente ma brulicante di vita, 
vita determinata, affamata, di corsa. Troppa miseria per i miei gusti, 
così a sorpresa di prima mattina, senza aver fatto ancora colazione. 
Ogni 50 metri c'è una casupola, tipo posto di guardia, fungono da negozi; 
riconosco un venditore di batterie e pile, un parrucchiere dove le ragazze sono intente ad intrecciare i capelli e tante altre attività che non comprendo, riconosco addirittura un fotografo: il cliente si siede nella casupola e da fuori la porta un ragazzo tira la foto 
che stamperà di li a poco. L'arte di arrangiarsi e l'improvvisazione la fanno da padrona. 

Tutte le pareti esterne delle baracche sono dipinte di rosso 
e a ripetizione in bianco appare il logo della Vodacom (la nostra Vodafone) 
"Tudo bom pra ti" addirittura le baracche che vendono scatolame e birre 
sono dipinte di rosso e personalizzate da questa multinazionale 
che mi stà già sulle palle, è ovunque, invasiva è dire poco. 
I miei primi istanti a Maputo sono lo stupore di vedere una "favela" all'africana 
e la scritta Vodacom ovunque. 
Sfascia-carrozze e garage improvvisati sembrano salumerie di metallo, 
parafanghi appesi a centinaia, qui ci sono marche e modelli giapponesi, cinesi, 
inglesi, svedesi, americani e credo anche marziani. 
Carcasse di auto arrugginite, meccanici che lavorano direttamente per strada, 
tanti dettagli nuovi che si susseguono senza darmi il tempo di tradurre tutto, 
ma il mio concetto di improvvisazione sta facendo numerosi update ogni cento metri. 
Se dico refresh soffro, ho fame, ho sete e sono appiccicoso come un adesivo. 
Assorbo tutto, affascinato e spaventato da tanta Africa senza filtro. 
Ad un incrocio più grande ci lasciamo alle spalle il bairro povero ed ecco la città. 
Sono già in preda al panico, non tanto ma abbastanza da chiedermi ripetutamente 
"e io qua che ci faccio?" oppure "ma come cazzo me la cavo qui?" e ovviamente non ho ancora visto un altro bianco, mi sento l'unico coglione fuori posto. 

La città ha una skyline, palazzi alti e pubblicità con loghi estranei e faccioni africani sorridenti, riconosco già le pubblicità delle banche Millennium e della Barclays, 
maledetta, anche lei qui, 
(ho lavorato per la Barclays, come aver lavorato per il diavolo in persona) 
con le loro promesse e i loro slogan falsi. 
I vialoni principali sono a quattro corsie, più due laterali su ambo i lati divise 
da un marciapiede, sono regolari e ben asfaltati, meglio delle strade di Gallarate. 
Noto subito che gli autisti se ne fottono dei pedoni, nessuno si ferma per farli passare 
e sembra si divertano a fargli il pelo, se inciampi attraversando la strada sei finito. 
La terra rossa: è sabbiosa e fa da cornice a tutte le strade, dove ci sono i lavori in corso 
è ammucchiata intorno ai buchi e sembra che la strada sanguini, ferite scoperte. 
Gli edifici sono tutti vecchi e malconci, non ricevono cure e manutenzioni 
da almeno 40anni. In pratica così sono stati costruiti e così restano, 
invecchiando con la gente e con il mondo. 
Par condicio urbana. Hanno tutti le grate alle porte e alle finestre. 
Saudade degli azulejos. 

Per strada ogni due passi c'è una bancarella o un artigiano all'opera, 
esiste uno spazio libero solo in corrispondenza delle porte di casa e dei negozi 
o dove siede annoiata una guardia. 
I passaggi carrabili non esistono o sono mimetizzati. 
Intravedo alcuni vicoli bui tra i palazzi, sembrano varchi dimensionali oscuri, 
dove quello che entra non è detto che esca, non mi ci avventurerò mai. 
I bidoni dell'immondizia sono stracolmi e un po' ovunque ci sono resti di consumismo. 
Mentre ci addentriamo nel quartiere dove vive la cognata che ci ospita, 
il furgoncino rallenta per non fare strike di passanti e di bancarelle improvvisate 
coi cartoni e quattro legni, cariche di frutta coloratissima, telefonini smontati, 
radio, circuiti, portachiavi e altre cineserie. 
Le insegne dei negozi si fermano allo stile anni '70, alcune sono così trascurate 
che si direbbe siano chiusi ma funziona tutto. 
Allestire le vetrine dev'essere un hobby passato di moda. 
Tutti mi guardano curiosi, il disagio è diventato il mio nome e cognome, 
perfettamente mascherato, come fossi lì da sempre. 

Quando ci fermiamo al numero civico esatto sono pervaso dallo sconforto, 
mi ricorda uno dei vicoli di Genova più malfamati e mia moglie mi aveva già avvisato 
che non gradiva molto il quartiere dove stavamo di casa, 
ma è una situazione temporanea. Alto-Mãe si chiama il bairro, 
siamo comunque in una parallela tra due dei viali principali, 
l'Eduardo Mondlane e la 24 de Julho

[Eduardo Mondlane era un grande, anni '20, 
uno dei fondatori e 1º presidente del Frente de Libertação de Moçambique
(attuale Frelimo, partito da sempre al potere)
l'organizzazione che ha guidato la lotta d'indipendenza dal colonialismo portoghese. 
Un personaggio illuminato che unì i vari partiti per lottare insieme  
contro i portoghesi e portare il Mozambico verso l'indipendenza. 
Era un professore, lo ammazzarono il 3 Febbraio del '69 con un pacco-bomba. 
Si sospetta sia stata la PIDE, la Polizia Segreta Portoghese, ma come sia arrivato 
nelle sue mani e come sia successo che fosse stato proprio lui ad aprirlo 
nunca ficou esclarecido
Ancora oggi il 3 Febbraio è la giornata degli eroi mozambicani. 

24 de Julho, 1975, giorno della Nazionalizzazione del Mozambico.] 

Nostro punto di riferimento: il Belita
un grosso magazzino di non so cosa, ancora oggi non mi sono preoccupato 
di vedere cosa vendano là. Fisso sempre solo l'insegna blu scolorita "Belita" 
e tanto mi basta. E siamo alle spalle del fashion world, uno spaccio di vestiti. 
Ambiente metropolitano-africano, stì cazzi direbbe un amico di Roma.  
Beh, non mi arrendo certo adesso, adoro l'avventura, penso ad essere operativo, 
scarico i bagagli e li porto fin dentro l'androne del palazzo.  
Vedendo affacciarsi dal 1º piano il fidanzato spagnolo di mia cognata 
(anche lui bianco) mi sento già rincuorato. In un secondo è già giù ad aiutarci, 
cerco di dirgli che non è necessario che prenda le valige più pesanti 
ma è già per le scale. Rispetto alle case portoghesi qui le scale sono ampie 
e in marmo, rende tutto più agevole. 

Arriviamo in casa: ampia e luminosa, bella, quattro cose basiche d'arredo 
e niente più ma va benissimo. È fresca e arieggiata, si respira. 
Ovviamente sto grondando sudore. 
In sala ci sono anche le sue valige perché coincidenza vuole che oggi lui ritorni a Madrid, 
ha il volo alle 12h. La ragazza sua è a lavoro, arriverà in pausa pranzo 
per accompagnarlo all'aeroporto. 
Vado in bagno a rinfrescarmi gettandomi acqua addosso 
e passandomela più volte tra i capelli, la testa mi pulsa dal calore e dallo sforzo. 
Lo stomaco è stra-incazzato per non essere preso in considerazione 
nonostante il brontolio continuo. Crolliamo esausti sulle poltrone. 
Accetto un caffè e sbrano delle gallette "acqua e sale", buone. 

Ascolto attento tutte le istruzioni sulla gestione di casa: il contatore, la pompa dell'acqua 
da attivare tutte le mattine entro le nove per avere la cisterna piena, 
mai scordarsela accesa o si brucia, il comune eroga l'acqua solo fino a mezzogiorno 
ma per sicurezza è meglio sempre farlo prima per evitare sorprese; 
ascoltare la radio nazionale per essere informati se ci saranno tagli d'energia elettrica 
o se ci sono problemi con l'acqua. 
È importante presentarsi e conoscere la vicina del 2º piano che nel palazzo 
è un'autorità ed è l'unica ad avere le chiavi del terrazzo in caso ci siano problemi 
con la cisterna dell'acqua. Sul terrazzo ci vive una coppia abusivamente, 
un subaffitto della vicina in questione. 
La sera chiudere sempre le grate con il lucchetto, adesso che siam sotto Natale 
sono in aumento i crimini, a lui è capitato di beccare uno arrampicato sul balcone 
e la vicina lo stava buttando giù a bastonate senza mezze misure. 

"Simone non ti stupire se ti chiedono soldi, 
se provano a fregarti sui prezzi, se provano sempre a venderti qualcosa, 
sei bianco e per loro significa che hai soldi, 
se hai comprato un biglietto per venire fino a qui, vuol dire che hai i soldi." 

Logico, lineare, non fa una grinza, come la mia faccia bloccata dal panico; 
non mi sto cagando sotto ma sono leggerissimamente in paranoia 
e non mi capitava dalla volta che anni fa avevo infilato per curiosità la parte brutta 
della rambla di Barcellona, dove mi ero sentito osservato come un leprotto 
tra una banda di lupi affamati pronti a sbranarmi, 
persino le prostitute sembravano minacciose. 

Mentre mi istruisce e mi fa i resoconti lo osservo invidioso, lui tra tre ore se ne va 
e torna in Europa e io resto qua... Voglio andarmene, ho fatto una cazzata
mi sono spinto troppo oltre. Bevo un paio di sorsi, il caffè è italiano: Gimoka, Gran galà
selezione elite, Product of Italy, impacchettato a Sondrio. Anche loro sono arrivati fin qua. 
Mi spengo senza preavviso sul divano, troppo stanco. 

Quando rinvengo sono madido di sudore, accartocciato e ancora in para
Mi aggrappo alla tazza di caffè ormai tiepido come fosse l'ambasciata italiana. 
La cognata è arrivata, "Bem vindo na Africa Simone!" Eh... 
Altra sciacquata in bagno. C'è un' ospite finlandese che anche lei parte oggi, 
non faccio neanche finta di volerla conoscere, sorrido, dico "Olá" ed è finita qua. 
"Anche lei parte oggi" penso solo a questo. 

Mi distraggo guardando fuori, oltre la zanzariera: cielo un poco nuvoloso e per fortuna 
o ci sarebbero 40º invece che i 32º di oggi, due palazzoni alti una quindicina di piani, 
scafuddati e senza intonaco, uno sembra proprio disabitato. Tra loro e questa casa 
c'é una serie di casette di massimo tre piani a parte la palazzina di cinque piani 
all'angolo a sinistra dove c'é un mini-market per i beni di prima necessità; 
utile anche per comprare l'acqua da bere e mi consigliano la marca Namaacha 
che costa meno, 264M a cassa. L'acqua del rubinetto NON SI BEVE. 
Per le faccende domestiche la metti in bottiglia o nelle taniche, 
aggiungi il prodotto, agiti per bene e il giorno dopo è pronta all'uso. 
Tipo per lavare l'insalata, gli ortaggi, frutta e altro da mangiare. 
Guardo il prodotto, un piccolo flaconcino blu, si chiama certeza
Torno a guardare fuori: nei cortili c'è molta attività, 
i garage sono adibiti a parrucchieri per donna, manicure, pedicure; 
altri sono falegnamerie o ferramenta. Sento il rumore di una sega elettrica. 
C'è un albero secco tipo l'albero dell'impiccato e di fronte ce n'é uno rigoglioso 
addobbato di fiori rossi sgargianti, la città è piena di alberi così 
e non ho ancora chiesto a nessuno come si chiamano... 
Le macchine passano rapide con l'afro-beat a tutto volume, strombazzano giusto 
per far spostare i passanti, non sia mai che debbano rallentare per colpa dei pedoni. 
Se sapevo che Maputo era un incrocio tra Napoli e la Calabria, 
mi evitavo tutta stà strada. Scherzo. 

Mi propongo per accompagnare la coppia in aeroporto, 
voglio rivedere quel bairro scalcinato, 
voglio ancora bermi con gli occhi quel succo di vita; ma la cosa non è fattibile 
perché la cognata se ne torna poi diretta a lavoro con lo stesso taxi 
ed il suo ufficio è dall'altra parte della città. 
Affronto la mia prima doccia fredda, nel pomeriggio collassiamo tutti dal caldo. 

La sera prima uscita a piedi, andiamo a mangiucchiare una cosa in un posto gestito da 
una signora portoghese, la Tigelinha, tavoli all'aperto, prezzi accessibili e intorno un 
giardinetto che offre riparo dagli stradoni principali dove tutti corrono sgasando 
come non ci fosse un domani. Per strada bisogna stare attenti, non puoi distrarti: 
spuntano ferri arrugginiti, semafori divelti, buche improvvise, tombini a trabocchetto, insomma una piccola giungla costellata di trappole vietcong. 

Intanto cerco di guardare i negozi, i fast-food, quello schifo fritto di KFC c'é anche qua, 
le bancarelle con ogni tipo di mercanzia elettronica a basso costo, 
frutta, donne che arrostiscono pannocchie, donne che arrostiscono le castagne caju
capulanas dalle fantasie grafiche e dagli abbinamenti stupendi, facce consumate, 
guardie perennemente assonnate, sacchetti di plastica, resti filacciosi di manga 
e altra frutta che non vedo l'ora di assaggiare, macchine ovunque come a Milano 
e davvero non ti fanno passare manco se gli fai cenno con la mano. 
Nonostante il bebè in braccio non rallenta nessuno, devi trovare tu 
il momento per passare, mi ricorda i giochi del Game Boy
Se mia madre vedesse dove sto 
non me la perdonerebbe, lei che era già contraria a questo viaggio, 
ah!, e io qua a godermi la Luna al contrario. 
"Minchia sono in Africa" mi ripeto in testa ogni tanto. 
Devo fare attenzione, qui la guida è a destra, all'inglese, tutt'oggi rischio di finire 
schiacciato come un gatto per l'abitudine opposta che ho istintivamente da 35 anni, 
quella di guardare "dall'altro lato". Occhio, cazzo! 

Osservo tutto, le strisce pedonali non servono a niente, le auto non rallentano comunque, 
piuttosto ti danno un passaggio sul cofano. Questo glielo hanno insegnato i portoghesi, 
nel senso che quando erano gli unici a condurre per strada non rallentavano mica 
per far passare i negri, ed ecco il risultato: adesso che guidano tutti non rallenta nessuno. 
Gli autobus sono pochi e cadano a pezzi, sgangherati, a volte senza porte, 
sembrano sopravvissuti ad una guerriglia urbana, roba da scenografia di Mad Max
giuro. I mezzi "pubblici" ufficiali per muoversi in città sono: tuk tuk, my love e chapas

Gli chapas sono furgoncini cinesi mezzi arrugginiti, costano 9M a viaggio, 
stai come le sardine in scatola, con gente anche in piedi tra le tue ginocchia 
ed il sedile davanti, a volte ti becchi il bel culone di una signora 
ma può andare di peggio, e con questo caldo... 
La destinazione è riportata sul finestrino con degli adesivi, ciascun chapa 
fa solo ed esclusivamente quel tragitto, cambia l'accoppiata autista-cobrador 
ma non il percorso, salvo lavori in corso. 
Gli chapas si fermano ogni 300metri a far scendere gente e a caricarne altra, 
uno conduce e l'altro, o cobrador, gestisce il sali-e-scendi e il pagamento della corsa; 
sta quasi sempre mezzo fuori dal furgoncino, soprattutto se il portellone laterale 
non si chiude. Per verificare di aver scritto correttamente cobrador l'ho messo in google 
e ho trovato questo link, non posso non riportarlo qui. 


"Para quem anda ou andou de chapa sabe quem é cobrador. 
Para aqueles que nunca entraram num desses meios vou explicar: cobrador é aquela pessoa que fica pendurado no porta, abre quando necessário e fecha algumas vezes, do chapa, recolhe dinheiro e deixa-nos descer no nosso destino.
Então, esses cidadãos em geral são iguais em termos de comportamento, costumam ser brutos, mal-educados estúpidos e pensam que os passageiros são sacos, ou bando de animais. Não tem o mínimo respeito pelas pessoas idosas, grávidas. É caso mesmo para dizer que são farinha do mesmo saco. Ou são filhos da mesma mãe, só mudam de endereço, os adjectivos não terminam.
Mas, por incrível que pareça eles fazem parte da nossa vida e precisamos tanto deles. Imaginem um chapa, TPM sem cobrador? Seria uma autêntica confusão. Tanto na entrada como na descida dos passageiros.
Em fim, acho que é caso mesmo para dizer que são um mal necessário."
Fonte: http://www.mmo.co.mz/cobrador-de-chapa-um-mal-necessario#ixzz3v0aZQDKp

Fa parte del ritmo sanguigno di questa città, in ogni sua arteria, ma è disagevole. 
Servono fondi per garantire i servizi più basici, ma per la Vodacom 
e le altre multinazionali l'importante è esserci, vendere i propri servizi, 
arraffare soldi anche qui e vaffanculo tutto il resto, 
quando basterebbe versare una minima % per migliorare la qualità 
dei servizi base necessari in questa Signora Capitale Africana. 

A proposito di Signore, mi vengono gli occhi storti a guardare le donne mozambicane. 
Stupende, bellezze conturbanti, sculture nella pietra, meravigliose, 
dovrei scrivere un blog solo su di loro, fantastiche. Che lineamenti, che stile, 
avvolte nelle loro capulane o nei nostri abiti comuni, magliette, vestitini, gonne, 
qualsiasi sia l'abito prende le loro curve mozzafiato e a volte sembra che le trattengano dentro a fatica, bellezze esplosive. Certe visioni mi ripigliano più di un caffè. 
Che gnocche! Ma devo stare al mio posto, calma e sangue freddo. 
"Tengo la spada nel fodero" e tiro dritto, manco ci penso a fare il pirla qui. 
Continuo a fare attenzione a dove metto i piedi, ovunque tracce che in giornata 
c'è stato un mercato, sembra sia passato un uragano, la città è sporca, 
non esiste ancora la raccolta differenziata. 

Ci sono alcune vie interne che si perdono nell'oscurità, 
lampioni che vanno a singhiozzo, certe strade non le percorrerei mai. 
Alcuni dettagli mi ricordano il mio quartiere a Gallarate: lo Sciarè
Certe ombre scure, certe prospettive che si perdono nel buio, illustrazioni perfette. 
La mia prima notte africana: dormo come un sasso, neanche sento mio figlio 
nei pochi istanti che si sveglia cercando subito la tetta di mamma.  
Va di culo che Maputo è sull'Oceano, quindi la sera è fresco e ventilato. 

La mattina al risveglio è sempre difficile, il corpo è già stanco per il graduale aumento 
di temperatura, mi sento sempre flaccido, l'alzabandiera non manca per fortuna 
ma mi sveglio rincoglionitissimo e a pezzi. Hai voglia ad abituarti a questa temperatura tropicale. Ormai sono avvezzo alla doccia fredda, anzi è una valida alleata. 
Uscire di casa significa ricevere subito un paio di bastonate per il calore. 
Certo, lo preferisco al freddo, ma che scoppolate. Faccio 100metri e sono già stanco. 
Le prime volte uscivo e camminavo rapido fino all'obiettivo, come quelle carovane di suv blindati nei film d'azione, coi protagonisti che finiscono sempre in un'imboscata. 
Poi ho imparato ad avere un passo deciso ma senza fretta, o esaurisco tutte le energie. 

Ancora oggi dopo un paio di uscite per qualche commissione, torno a casa esausto. 
La siesta pomeridiana è d'obbligo e la "fortuna" è che non sto ancora lavorando, non so come reggerei un'intera giornata fuori. Quando guardo gli operai che lavorano per strada sotto al Sole cocente, quelli che costruiscono i palazzi, quelli che li stanno imbiancando (solo i palazzi nuovi delle banche, gli altri palazzi che si fottano, ovvio), 
quelli alle bancarelle a tirare la giornata, i venditori ambulanti, etc., 
li osservo e soffro per loro: come cavolo si fa a lavorare sotto questo Sole? 
Potentissimo, sovrano, una luce fantastica che inonda tutto e tutti. 
Come fanno quelli della Polizia in mezzo al traffico?  
Serissimi, nelle loro camicie bianche immacolate, fischietto e gesticolare ai 4 venti. 

Il traffico rende l'aria pesante, con tutti questi jeepponi e suv, 
coi vecchi furgoncini scassati, coi camion giganti delle imprese di costruzione 
che in centro erigono nuove torri per le potenti multinazionali di stò cazzo
col vento che alza polveroni, sabbia e terra rossa... 
Uff, gli occhi vengono spesso presi alla sprovvista dal pulviscolo pungente. 
Bere spesso e idratarsi. 

Per fortuna esiste il lanho, un fratello del cocco. Lungo le strade trovi i venditori 
che spingono questi carretti carichi di frutta, alcuni sono carichi solo di lanho
Ha l'aspetto di un cocco verde, costa 20M e te lo tagliano al momento a colpi 
di machete, è stato "amore al primo sorso". Freschissimo, ristoratore, una volta che 
te lo tagliano, sfondi la membrana bianca della polpa con la cannuccia, 
succhi avidamente tenendo in mano sto bel coccone
poi te lo aprono con due colpi finali e con un cucchiaio ricavato dalla buccia ti mangi 
la polpa fresca all'interno. Meglio di qualsiasi altra cosa e ha ottime proprietà nutritive. 
Lo adoro e me lo concedo quasi tutti i giorni. 
(Sò meno di 50centesimi, altro che le bibite gassate in lattina, 
altro che le porcherie industriali confezionate, tiè!) 
Questa è Africa. Ma non significa che non ci siano le bibite commerciali, anzi. 

Ecco cosa ho notato stando qui a Maputo: l'Africa c'é, claro
ce l'hai sopra e ce l'hai sotto, ce l'hai tutt'intorno, 
ma qui in città è soffocata da un nuovo abito, un nuovo vestito che le va stretto, 
si chiama civiltà in stile occidentale. Le due cose cozzano pesantemente. 
Hai a disposizione la migliore frutta tropicale fresca del Mondo, 
ma i ragazzini vogliono i soldi per comprare la Coca Cola. 
Ma vaffanculo

Il vantaggio di arrivare "da fuori" è proprio il saper osservare tutto in maniera
distaccata, obiettiva e rendersi più interessati ad ogni dettaglio rispetto a chi
ce l'ha sotto al naso ogni giorno, dandolo per scontato.
Una volta, nella mia stessa città Natale, mi bastò andare in giro col naso all'insù
per scoprire una città nuova. Fisse da amante della fotografia
e da osservatore, strippi da cacciatore d'immagini... Abbiate pazienza. 

All'insù.

Locuzione aggettivale: (araldica) espressione utilizzata per indicare le figure 
che naturalmente sarebbero rivolte verso il basso ma sono rappresentate 
rivolte verso il capo, come chiavi, pugnali, trafieri, misericordie ecc. 
Sinonimi: insù. 
Contrari: ingiù / all'ingiù. 

Ecco, io sto a testa ingiù, vedo le costellazioni al contrario, 
ma il sangue non mi va al cervello più rapidamente, anzi, 
superato il primo giorno mi sento già meglio, tanti input nuovi mi fanno bene, 
alimentano la mia creatività e sforno nuove idee, rivedo con maggior chiarezza 
cose fatte precedentemente. 

Ad esempio: non devo più fare copia e incolla da un'altra pagina 
o non so più come liberarmi dallo sfondo bianco qui dietro al testo. 
Maledizione, como sono negato per certe cose 
e la cosa peggiore è che sono un tipo impaziente. 

Nel frattempo ho trovato la soluzione. 
Vivere 4 anni a Lisbona e adesso in Africa aiuta a disintossicarsi 
dai ritmi di vita del Varesotto e dai più ancor frenetici ritmi Milanesi. 
Competitivi, sempre di corsa, produrre, produrre, produrre! 
Che loop infernale. 
Avrete certamente sentito parlare delle "tempistiche Africane". 
Beh, qui manca solo che i mozambicani dicano "Eh, pois" 
come i portoghesi, ed è la fine, il crepuscolo della pazienza
Fa bene disintossicarsi da una vita a 300km orari 
e tornare a vivere il proprio tempo. 

"Sará ricordata come l'epoca della tecnologia 
ma per me è soltanto l'occasione di vivere la vita mia..." 

Ormai ogni scusa è buona per uscire, fosse anche solo 
per andare a comprare la frutta, le uova, un bel polletto con riso 
e patate, (tagliate a mano, spesse e fritte bene, come nelle migliori tasche 
di Lisbona, altro che quel flaccidume clonato fritto del Mac e altri vendi-merda
o per comprare una ricarica del cel. 

[Ad ogni angolo di strada ci sono ragazzi con delle mantelle gialle, 
tipo quelle che devi avere in auto in caso di incidente, ecco, 
hanno su scritto "mcel" e loro hanno da vendere le ricariche. 
Striscette minuscole di cartone con la parte argentata da grattare 
ed il codice da inviare * iniziale + # finale. Amarcord... 
A Lisbona ormai si fa tutto via multibanco.]

Ogni occasione la sfrutto per farmi una passeggiata; 
in un paio di occasioni ho raggiunto stati di quiete fenomenali,  
serenità totale e immersione nel mood cittadino, mi sono sentito parte 
di questo vociare e correre concitato, mi sono sentito integrato. 
"Tené 'a capa fresca" come dicono a Napoli. 

A proposito di Napoli: una sera cerco birra da portare a casa;  
la moglie vuole la Hunters Gold ma mica la vendono ovunque 
e dopo una certa ora le baracche chiudono = non la trovi facilmente 
la birra in bottiglia. (Birra in lattina non ne bevo) 
Entro in un postaccio disperato come l'espressione stanca della proprietaria, 
in un secondo divento "l'evento del giorno" perché un bianco lì 
forse non c'era mai entrato, (per strada sono quasi sempre l'unico bianco a piedi) 
trovo la birretta chic che la mogliettina vuole (yeah!)
e avendo fatto centinaia di metri a piedi, 
mi godo una Laurentina Premium alla spina (meglio di una in bottiglia) 
più il telegiornale in diretta (che lusso!) ed ecco che al bancone 
arriva questo mozambicano col cappello del Napoli calcio. 
Lo osservo e non resisto alla tentazione, gli chiedo se è già stato in Italia. 
<<No>> mi risponde <<Sono stato in Belgio, Germania, Olanda 
e in Danimarca, per lavoro, ma in Italia ancora no. Però tifo Napoli! 
Napoli calcio, è la mia squadra del cuore.>> 
Gli pago la birra per simpatia e gli consiglio di andarci a Napoli, 
anche solo per mangiare, come fosse la prima volta che mangia in vita sua. 
Tutt'intorno partono commenti e luoghi comuni come coriandoli a carnevale, 
tipo: "Eh sì, in Italia si mangia bene" e "La pizza la fanno bene" etc. 
Eh, minchia se si mangia bene... Saudade culinaria

I mozambicani sono un popolo pacifico, allegro, che appena sente 
afro-beat pompare dalle casse, inizia ad ondeggiare coi fianchi 
e a sorridere spensierato. Forse uno dei popoli più tranquilli 
e pacifici di tutta l'Africa. Questa è una cosa stupenda. 
E si beve, tanto, meglio essere preparati perché a rifiutare 
potrebbero offendersi. Non succede niente, ma è un peccato 
vedere rabbuiarsi questi faccioni allegri sempre sorridenti. 
Sono proprio belli. 

Tuttavia si sta insinuando un po' di stress nella vita di Maputo, 
anche qui è arrivato il concetto errato: "il tempo è denaro" 
e fare di tutto, rapidamente, il più possibile concentrato. 
Anni fa in un'agenzia immobiliare di Appiano Gentile, 
il giovane direttore fece il brillante con un'affermazione filosofica 
che ancora adesso nessuno può scardinarmi: 
"Non è vero che il tempo è denaro, 
perché il denaro va e viene 
invece il tempo va soltanto 
senza tornare indietro." 
Fogo, come dargli torto? 
Alla faccia dei personaggioni di Wall Street. 
Maledetti complici... 

Anche a Maputo è arrivata la pubblicità 
per ricordarti che si può stare meglio, che si può essere più belli 
e tante altre vette irraggiungibili, soprattutto in un posto 
dove avere le condizioni minime è già un lusso. 

Il modello occidentale è consumismo, 
consumismo oggi non significa più soltanto muovere i mercati, 
significa anche stress e inquinamento. 
E la cosa peggiore è che chi impone questi dettami 
non si prende neanche la briga di metterci un adattatore 
tipo "paese che vai, consumismo che trovi" 
ma va là, è tutto un appendice dello stesso organo malato 
che tutto contagia e manda in putrefazione. 

Tra le malattie trasmissibili bisognerebbe aggiungere 
la pubblicità ed il marketing di oggi. 

Dai, siamo alla frutta o se preferite i frutti di mare 
siamo alle cozze
Il Presidente della più grande democrazia al mondo,  
(tanto che la esportano a forza) 
il Presidente degli Stati Uniti d'America 
è arrivato al punto di fare Lui stesso la pubblicità 
ai prodotti Americani, pur di quagliare soldi e fatturare 
fa pubblicità ai film di Hollywood. 
L'hanno fatto per quel film contro il dittatore coreano 
(quel bimbominkia atomico) inventandosi la storia degli hackers nord-coreani 
che assaltano il sito della Sony 
e adesso pubblicità per il nuovo episodio di Star Wars
Nel discorso Natalizio, 
invece del solito "Dio benedica l'America" 
è stato detto "Che la forza sia con Voi"
Spettacolo. 
E parlo io che da italiano mi ritrovo un Presidente del Consiglio 
(non eletto dal popolo)  
che vuole migliorare l'Italia, paragonando tale presupposta efficienza 
a quella pratica e funzionale del suo i-phone. 
E mostra l'i-phone mentre fa il discorso alla nazione. 

Ormai l'Italia è una Repubblica fondata sull'i-phone. 

Ma meglio puntare su un paese emergente. 
Il Mozambico ha un'economia che ancora gattona, stenta a camminare, 
ma almeno c'è ancora un margine d'intervento, forse. 
Dico forse perché anche io, nonostante sia un inguaribile ottimista, 
sono stato preso dallo sconforto vedendo tanta miseria live 
e vedendo che anche per le strade e sulle bancarelle di Maputo 
c'è un'invasione di ciarpame made in china. 

"La nuova muraglia cinese" è arrivata anche qui. 
Ho coniato questo termine pensando alle grandi pareti fatte di container 
arrivati dalla Cina, sembrano mattoncini Lego, creano muraglie 
lungo le banchine dei porti, lungo i binari nelle stazioni di tutto il Mondo. 
Tanta robaccia, potremmo farne a meno ed inquinare di meno. 

Penso al fenomeno del "Plastic Vortex" e al fatto che mi ha chiarito  
quanto necessitiamo di nuove leggi per tutelare l'ambiente 
e poter imporre a certe aziende di produrre di meno. 
Corriamo come pazzi ma ci schiantiamo davvero 
contro un mondo che sarà ancor più abbruttito e snaturato. 

A proposito di "Plastic Vortex", se c'è una cosa utile 
che posso fare realmente con questo post/racconto è informare. 
Copia e incolla in un motore di ricerca: 
Plastic Vortex "l'isola di plastica", l'isola che purtroppo c'è, fenomeno reale.  
Midway documentario by Chris Jordan. Straziante.  
The Corporation documentario.  
Anche solo questi tre elementi sono validi cavalli di battaglia, 
urla di dolore e denuncia di un sistema che ha molto di sbagliato, 
insano e terribilmente malato. E nessuno di noi esseri umani 
vorrebbe davvero esserne complice. Nessuno vuole davvero tutto questo male, 
solo degl'irrecuperabili psicopatici insensibili 
possono trarre profitto e godimento da questo continuo stupro a Madre Natura, 
da questa economia che è un cancro ed un vero e proprio avvelenamento. 

"Macbeth" gli fa una pippa a certi vertici aziendali. 

Nei primi giorni qui a Maputo mia cognata mi ha aiutato 
a conoscere alcune realtà attive sul fronte "associazionismo" 
ed "eventi culturali". Risultato: ho partecipato ad un festival interessante 
"Hawena Festival de Cinema Consciencialização Social e Ambiental" (brutal
uma exceliente iniciativa dove ho scoperto questi tre nuovi titoli: 
1. This changes everything by Avi Lewis 
2. Blue Gold by Sam Bozzo 
3. Merchants of Doubt by Robert Kenner 
e per rimanere sul tema "informare e sensibilizzare" la mia ultima esposizione 
a Lisbona, presso la cooperativa AgarArte, era dedicata anche 
alla divulgazione della più grande contestazione ambientale del secolo, 
di cui i media non parlano e su cui non si puntano i riflettori: 
"il Gran Canal del Nicaragua" un'opera faraonica, una cagata pazzesca 
dove per lucro si sta realmente tagliando in due un paese, 
manco fosse una pizza: il Nicaragua a pezzi. 
http://www.rosadeventi.blogspot.pt/2015/11/um-pais-cortado-em-fatias-un-paese.html 


Un altro pezzo forte dalla scuderia di Casa Combo: "Bag It" the movie. 
"Is your life too plastic?" Non smetterò mai di ringraziare Salvatore 
per avermi fatto conoscere questo documentario. 
Beh, in compenso gli ho fatto scoprire "V per Vendetta". 


E che dire del convegno di Parigi? Dove hanno strappato un accordo, 
faticando e sudando, dimostrazione che "a qualcuno piace caldo" anzi 
pare piaccia surriscaldato questo Nostro Mondo. Maledetti bastardi. 
La realtà con cui ci scontriamo è davvero dura. 
Il Mondo che viviamo è vivo e, proprio come noi umani, 
se la temperatura corporea aumenta di qualche grado stiamo male, 
anzi, malissimo, febbricitanti. 
"L'umanità sul tetto che scotta" e se brucia tutto non resta che saltare giù. 

"Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio." 

Io sono atterrato qui a Maputo 
e non conta niente avere un'idea di cosa sia un paese africano, 
non conta il fatto di sapere che incontrerai grandi differenze 
e tanta miseria. Vedere tutto da vicino ti fa conoscere anche gli odori, 
i sapori, tagli netti. Mi ha lacerato lo stomaco, poi una pezza sopra e via, 
fuori dai coglioni, circolare, circolare...   
"Dove stavo andando?" o "Cosa stavo facendo?".  
Dopo le prime 48 ore mi sono sentito più a mio agio. 

Superato l'impatto con l'Africa, il panico iniziale è svanito, 
evaporato, anzi l'ho sudato tutto. 
Uscire di giorno è un piacere, cottura a parte. 
Ci sono così tanti dettagli, così tanto da apprendere 
che i timori sono già acqua passata. 

Gli africani hanno stile, ne hanno da vendere. 
I mozambicani hanno stile, ne hanno da vendere. 
Io non critico il fatto che differenti culture si mescolino, anzi, 
sono uno dei primi ad appoggiare e spingere in questa direzione; 
(anche perché è inevitabile)
critico il fatto che l'occidente esporti uno stile 
di cui non si possa andare molto fieri. 
Anche a Maputo ci sono Associazioni che fanno la loro battaglia culturale 
e guarda caso una si occupa di sensibilizzare sul riciclaggio della spazzatura, 
l'associazione AMOR Associação Moçambicana de Reciclagem 
che tratta la buccia dei prodotti, ed un'altra associazione forte si chiama 
"Giustizia Ambientale" JA! Justiça Ambiental

Per strada c'è un sacco di gente che butta il suo tempo 
nell'attesa di vendere qualcosa, anche questo è uno spreco. 

Non ci sono altre alternative a questo mercato globalizzato? 
Capite quanto la creatività e la cultura siano importanti? 
Da dove volete che arrivino nuove idee se non da un cervello creativo 
e/o colto? Come si può tagliare la Cultura nei paesi? 
Se non per sopprimere ancor di più il popolo, i cittadini, 
come può essere altrimenti? 
Il medioevo non è finito! 
Ci propongono ancora crociate contro l'Islam. 
Non si parla forse di rogo mediatico
Perché si credeva nei gargoyle, nei demoni e nelle promesse fatte 
dagli altari e dai pulpiti delle cattedrali? 
Credete ci sia tanta differenza da quello che la televisione 
e i dispacci dei notiziari passano ogni giorno? 
Certo, abbiamo gli i-phone e tante altre cose estremamente fixe 
ma non mi sembra che siamo molto distanti da quei mangia-patate 
dei quadri di Van Gogh. Quelli almeno avevano la terra. 

Ripeto, non sembra che siamo molto distanti. 
E se lo capisco io che sono un coglione qualunque 
significa che non è una realtà molto nascosta. 
Ci sono tante belle novità e scoperte meravigliose 
ma i divari da colmare e le ingiustizie sono giganti da abbattere, 
il tonfo sarà grande tanto quanto l'arroganza che li tiene in piedi. 

"I tipi grossi come te mi piacciono perché quando cascano 
fanno tanto rumore!" 

Quello che ho notato tra le conseguenze dell'occidente, 
oltre ad una profonda e radicata sfiducia verso i bianchi,  
(che sfocia in un "costante opportunismo") 
è che lo stile esportato nel mondo spesso soffoca quelle che sarebbero 
soluzioni differenti, soluzioni alternative, perché il modello imposto 
è quello preposto ad essere presente in ogni posto. 
Ou seja, se qualcuno ha deciso a priori che dev'essere così 
significa che non si accettano varianti. 
Che ci fanno i ragazzi per strada 
a cercare di vendere alberelli di Natale di plastica con 40º? 
(Qui è Estate prima che essere Natale) 
Basti vedere la fatica che si fa ad avere un mondo che funzioni  
con energie alternative e che dica addio a gomme e pneumatici, 
alla gomma e ad altri derivati del petrolio, 
alla guerra e al vendere armi, vendere munizioni 
e farle usare ogni giorno, generando dolore e vuoti incolmabili.  
Cervelli vuoti e ipnotizzati dalla pazzaglia in tv, 
riviste inutili e tanta altra carta buttata inutilmente, 
non ti ci pulisci neanche il culo con tutte le cartacce con cui ingozzano 
le cassette della posta, pubblicità, sapere cosa comprare, dove, come e quando. 

Quo vadis? 

E questa sbornia consumistica si sta allargando, non c'è formazione 
su come consumare in maniera intelligente e responsabile 
perché non fa comodo. 
Perché riparare? Sostituire con un pezzo nuovo costa meno. 
Hey, ma non ce l'abbiamo un pianeta sostitutivo, 
a me piace questo, non l'ho ancora neanche visto tutto! 
Echeccazzo! 
E vengono ostacolate idee alternative. Sono scomode. 
Greenpeace, il WWF e altri come loro, hanno bisogno di un marketing 
sempre più convincente per stare al passo, o rimangono tagliati fuori! 
E se non sono loro a darci segnali e a gridare "Allarmi, allarmi! La campana sona!" 
Chi lo fa? Chi si preoccupa di segnalarti la prossima trappola, il prossimo agguato? 

È una battaglia senza quartiere, non si può desistere. 
Non ci sono più le mura di un castello a difenderci dall'assedio, 
ognuno pensi per sé, ma l'unione che fa la forza 
è meglio non svenderla al discount, nonostante sembra costi tanto allearsi 
e pensare alle priorità comuni. 
Fare del bene è rimasto un insieme di azioni che non cambiano dai tempi antichi: 
ascoltare, abbracciare, una carezza, confortare, difendere, tutelare, migliorare, ... 
Invece il male, il male vero, altro che il lato oscuro, quel bastardo s'è aggiornato, 
è sempre all'ultimo grido, all'ultima moda. Malefico, il male adora la tecnologia, 
adora scaricare l'ultima applicazione su come uccidere, distruggere e dividere, 
per governare sempre meglio e più a lungo. 

"Divide et impera." 

Già intravedo quella che anni fa era una realtà cyberpunk fantasiosa, 
esistono già multinazionali che sono più importanti delle nazioni. 
Sgretolano il valore ed il significato delle nazioni, alla faccia di quanti sono morti 
per poterle creare, unificare e difendere. 
Già intravedo le megacorporazioni
Ed erano fantasie per adolescenti, quando ancora neanche esistevano i nerd
Le mutazioni e i cambiamenti sono giusti e necessari, 
ma diamo un'occhiata più accurata, serve un controllo qualità. 

"C'è del marcio nel regno di Danimarca" 
eh, magari fosse così circoscritto il problema. 
Sono partito da Gallarate, passando per Milano e per tanti altri posti;  
poi da Lisbona ed eccomi a Maputo... E c'è un filo che intreccia ogni storia, 
ogni problema, ogni questione, ogni dibattito, ogni ferita ancora aperta. 
E il male peggiore sembra prodursi nel buio e nel silenzio di ogni nostra testa, 
nella materia grigia che custodiamo in questa bella scatola cranica. 
Mentre fuori accade di tutto. 

La realtà quotidiana del nostro mondo va oltre ogni immaginazione 
e oltre qualsiasi surrealismo che l'Arte abbia mostrato. 
Qui a Maputo molto di quello che vedo, invece, era già scontato. 
Bambini scalzi che passano coi catini pieni di bottigliette d'acqua da vendere; 
donne che cucinano e stanno a grigliare polli (buonissimi) in condizioni igieniche 
al limite della percezione della ASL; figuratevi, se la ASL passasse da Lisbona 
il Bairro Alto neanche esisterebbe, immaginatevi qui, in un mercato dove tutti, 
dico tutti, lottano per fare la giornata... 
Gente che lavora con la macchina da cucire (rigorosamente Singer) 
direttamente per strada, a lato di altri che fanno saldature e riparazioni 
su banchetti di legno improvvisati; 
le signore con le stuoie a terra piene di frutta ordinatamente suddivisa; 
polli vivi che ti fanno compagnia alla fermata dell'autobus 
che puntualmente è utilizzata come dormitorio; (area chill out
invece nei negozi trovi spesso 5 o 6 commessi annoiatissimi
lo scazzo generale è latente, a prescindere dal calore, anche io 
e tanti miei coetanei sappiamo benissimo cosa vuol dire farsi due palle così 
a lavoro perché ti pesa proprio tanto fare quello che fai e farlo solo perché 
hai disperatamente bisogno di avere un'entrata, oltre a quella metaforica 
che abbiamo un po' tutti dall'ingresso posteriore, là dove vorremmo fosse solo 
un senso unico, là dove ci hanno parcheggiato ogni speranza, o quasi. 
Ma il nostro culo è un parcheggio gratuito per autotreni? 

Ma finché c'é tutto questo disordine mondiale c'é anche speranza, 
c'é lavoro da fare, c'é molto da sistemare. Arrumar! 

Un'altra cosa a vantaggio del Mozambico è che, 
nonostante abbiano trovato uno dei più grandi giacimenti di gas al mondo, 
non risulta ancora nella contabilità globale, gli avvoltoi non sono ancora arrivati. 
O meglio, le trattative son tutte da rifare prima che la Eni 
si metta ad estrarre qualcosa, ma almeno non si vedono ancora 
i segnali di intrusioni esterne, sempre che i dissapori tra i due partiti principali 
non si siano inaspriti proprio per la sollecitazione di qualcun altro da fuori. 
Qualcuno al di sopra delle parti che sgrilletta freneticamente. 
Beh, non pensiate che i conflitti in Siria ed altri tafferugli mediorientali 
targati "Stato Islamico" non abbiano a che vedere con il gas e altre risorse. 
Si arraffa tutto il possibile. 
Banche e aziende straniere qui a Maputo lo dimostrano benissimo. 

Non faccio di tutta l'erba un fascio, 
ma constato che prevenzione e formazione non sono grandi priorità qui, 
l'importante è esserci e portare a casa il bottino, fare le cose bene e con calma 
non ha niente a che fare coi ritmi delle borse internazionali e coi risultati 
che gli investitori vogliono vedere. 

"Depressa" traduzione di "rapidamente" in portoghese, 
la parola da perfettamente l'idea di una pressa implacabile e instancabile. 

Io invece sono già stanco di vedere quanto la minaccia di un mostro mentale 
che tutto fagocita senza risparmiare niente e nessuno, si allarghi sempre di più 
a macchia d'olio. Quasi voglio tornarmene già a Lisbona, fino alla fine dei miei giorni 
per starmene sereno, in pace col mondo, godendo di tanto "accontentarsi" 
di una vita semplice senza essere stressato, 
approfittando delle tasche a buon mercato, 
cullato dalla tranquillità degli inconcludenti ritmi mediterranei, 
anestetizzato dal Benessere! 
Strafelice di passare una giornata al miradouro. 
Stracontento di non produrre nulla, se non poesie e pensieri.   
Strafacendomi di innocuo menefreghismo,  
rischiando di cadere spesso in un soporifero nichilismo, 
abusando di "antidolorifici" e di birre a 1euro. 

A proposito di birra, cerveja! La birra mozambicana è buona! 
Meglio di quella portoghese com certeza
La Laurentina Premium è in testa alla classifica, 
tra l'altro "Laurentina" sembra un nome italiano. 
La Laurentina Preta ha vinto più volte premi e riconoscimenti, 
buona, oserei dire anche più della Guinness, ok, ho esagerato.  
Vado adesso a prendere nel frigo un'altra che sto sperimentando 
in questi giorni: la MANICA, chiara, l'accento cade sulla i, Maníca, 
come il nome di una regione del Mozambico. 
Poi c'é la 2M sempre chiara, un po' più forte ma stanca subito. 
Quello che arriva dal Sud Africa neanche lo prendo in considerazione, 
tipo la LITE che ho assaggiato e prontamente sputacchiato. 

Sul cibo andiamo bene, matapa, stufati vari, il pollo è davvero saporito, 
ruspante! Non da meno il cabrito, e poi le meraviglie che l'Oceano Indiano offre, 
dai gemberoni tigre ai granchi giganti e variopinti... E che pescioni

Al Mercato del pesce c'è l'imbarazzo della scelta 
e appena fuori ti grigliano tutto e birra a fiumi nell'attesa, 
sotto ad un ombrellone, con la brezza dell'Oceano 
meglio di qualsiasi aria condizionata. 
Con 70M mi son preso mezzo chilo di vongole 
e ho fatto a casa una spaghettata "mai vista mai"
Nella fase finale, quando nel sughetto si sono aperte quasi tutte le vongole, 
ho iniziato a delirare parlando in napoletano, mancava solo l'inno italiano 
di sottofondo, tra una spadellata e l'altra. 
Mia moglie dopo la giornata a mare era stanca, s'è addormentata...  
Mi son sparato 300grammi di spaghetti e sughetto con mezzo chilo di vongole 
da solo! Estasi a livelli che non raggiungevo dai tempi di un pranzo in Italia 
a casa di amici pugliesi, dove ancor prima dei formaggi e del dolce, 
chiesi "pietà!" accasciandomi satollo sul divano. Incapace di intendere e di volere. 

Mi riferirono poi che nel dormiveglia deliravo in aramaico antico. 

Insomma, vale la pena farsi un bel giro in Mozambico. 
Io sono a Maputo, ma oltre questo caos di città 
ci sono alcune tra le spiagge più belle e paradisiache del Mondo. 
Inhambane, Tofo, Pemba, ... 



Ce n'è da vedere! 
Che mondo stupendo!  

Vale la pena viaggiare, vale la pena difenderlo, 
in qualsiasi epoca, in qualsiasi lingua, in qualsiasi maniera. 





[...] il crollo delle ideologie ha perfezionato il processo di laicizzazione dell’Occidente: 
o, se si preferisce, ne ha scoperto definitivamente il non-senso, l’implausibilità. 
La scoperta che la storia non ha alcun senso, che non va da nessuna parte, 
che non coincide con alcuna affermazione di verità morali, 
che non procede verso il bene guidata da alcuna forza ad essa connaturata, 
comporta un “disincanto” che non tutti sono in grado di accettare. 
Non lo accettano, soprattutto, gli ésprits forts laicisti, 
quelli che agevolmente avevano rinunziato a Dio per sostituirgli le divinità moderne dell’ideologia e del senso positivo del progresso e della storia. [...] 








Continua...
















2 commenti:

  1. Ciao Fares, incredibile. Mi hanno girato il link di questo tuo racconto (non ho FB) e sono molto colpito. Tra Brasile del nord, Tailandia e altri viaggi ho visto un po' di scenari simili a quello che descrivi, anche se immagino che lì la cosa sia parecchio più estrema . Forse non ho capito bene ... Ti sei trasferito da Lisbona a Maputo oppure sei lì per una vacanza?! In ogni caso, buona fortuna! Saluti a te e alla famiglia, Michele.

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  2. Grande Simo!!! Da questa storia viene fuori il Simone che conosco, pieno di entusiasmo per la vita e sempre pronto ad affrontare nuove esperienze. La tua storia mi ricorda i bei tempi in Tanzania... E scopro che sei anche PADRE!!! SEI UN GRANDE! Tifo per te sempre. Bella li'!!! Pacifico Pax.

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